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Problemi con il fisco italiano per Airbnb

Secondo la Procura di Milano la società non ha ottemperato agli obblighi introdotti dalla legge 50/2017 sulla cedolare secca per gli affitti brevi, sottraendosi alla dichiarazione e al versamento.

Si è vista dunque sequestrare, in via preventiva, oltre 779 milioni di euro equivalenti, secondo l’accusa, alla cedolare secca non versata su canoni di locazione breve del valore di quasi 4 miliardi di euro. È questo l’esito delle indagini della procura di Milano sfociate nell’esecuzione del provvedimento cautelare firmato dal gip Angela Minerva nei confronti di Airbnb Ireland Unlimited Company, filiale europea del colosso americano degli affitti brevi che ha sede legale a Dublino e domicilio fiscale a Milano.

Si tratta della cifra più alta mai richiesta a una internet company (dopo gli 870 milioni di Iva contestati a Meta) nei confronti del gruppo statunitense per violazioni della legge del 2017 che impone alle piattaforme web di agire da sostituti di imposta trattenendo il 21% sugli affitti incassati dagli host, cioè i proprietari degli appartamenti.

Ultimo capitolo di una serie di inchieste milanesi che hanno messo sotto la lente i giganti del web, da Google Netflix, che poi hanno chiuso i conti col fisco. All’epoca Airbnb si era difesa sostenendo di supportare “il corretto pagamento delle tasse degli host applicando le norme europee per la dichiarazione dei redditi” e ribadendo la sua posizione, con riferimento alla battaglia giudiziaria contro la norma del 2017: “Airbnb non è soggetta alla normativa fiscale italiana. In questo quadro si inserisce il sequestro eseguito dalla Gdf.

Dietro le quinte c’è un braccio di ferro sul pagamento delle imposte tra Airbnb, che nel 2022 ha macinato utili da record, e l’Italia. Una battaglia passata anche attraverso ricorsi alla Corte di Giustizia Europea e ora sfociata in una stangata per la piattaforma.

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